Corradi Outdoor Attitude Online. Gli architetti Giammetta e il rapporto tra spazio e nuove funzioni
La scorsa settimana, ospiti del Corradi Outdoor Attitude Online sono stati i fratelli Marco e Gianluigi Giammetta, fondatori dello Studio Giammetta Architects di Roma.
Due professionisti il cui tratto distintivo, come sottolinea Giorgio Tartaro, è, molto probabilmente, quello di non avere alcun tratto distintivo: loro stessi si ritengono estranei a stili personali e segni caratteristici. Da questo deriva la produzione di un’architettura che non è mai uguale a se stessa e lo sviluppo di progetti di alto livello e di ogni genere, in Italia come all’estero.
La riflessione con cui i Giammetta danno il via al workshop riguarda la necessità di avvicinare l’architettura alle persone ricorrendo a un linguaggio semplice. Per i due fratelli, infatti, l’architettura è prima di tutto uno strumento di comunicazione, che permette di trovare una risposta diversa a ogni domanda che le viene posta.
In seguito, mostrando alcuni dei loro progetti, i due professionisti illustrano la loro concezione di indoor e outdoor: termini “ormai obsoleti”, le cui distanze verranno sempre più annullate, in favore di uno spazio unico.
Nuove esigenze nel settore dell’architettura
Quella in cui viviamo oggi, secondo i due architetti, è un’epoca caratterizzata da fluidità, movimento e mutevolezza di generi, tempo e spazi. E proprio gli spazi sono gli elementi più variabili nelle loro funzioni: “Oggi – sostengono i fratelli Giammetta - grazie anche al supporto della tecnologia, l’individuo è sempre più propenso alla contaminazione tra gli ambienti. Dove un tempo ci limitavamo a mangiare oggi lavoriamo. E chissà, forse in futuro anche uno spazio pubblico come la piazza potrebbe cambiare e, da luogo di incontro e aggregazione, diventare uno spazio per workshop e formazione”.
Secondo i due architetti, in una situazione così mutevole, la differenziazione tra indoor e outdoor cadrà completamente a favore di una maggiore multifunzionalità dei due spazi: “Ci sposteremo di continuo da dentro a fuori per svolgere le nostre attività. Tutti i nostri spazi saranno sempre più vitali e acquisiranno sempre più funzioni. Il giardino, ad esempio, diverrà un luogo di lavoro, non solo un angolo da abbellire con tavoli e sedie”.
Ed è soprattutto oggi, nell’attuale situazione di isolamento e distanziamento sociale, che siamo portati a dare maggiore valore a ciò che sta oltre le nostre mura domestiche. Ecco perché è fondamentale restituire all’outdoor un ruolo sempre più legato alla centralità dell’individuo. “Di recente abbiamo parlato di un futuro Hi-Human, e della necessità dell’uomo di tornare a essere parte integrante della natura. La tecnologia può aiutarlo diventando sempre più antropocentrica. In questo modo, l’uomo potrà imparare a migliorarsi senza nuocere a tutto ciò che gli sta intorno”.
In particolare, secondo Giammetta, questo periodo porterà con sé un nuovo modo di intendere il rapporto tra housing e spazi esterni. Se un tempo eravamo disposti a vivere in case abbastanze piccole perché consapevoli di avere una valvola di sfogo ben più grande (l’outdoor) destinata alle attività conviviali, adesso abbiamo capito che un’emergenza improvvisa potrebbe costringerci a non uscire per un lungo periodo. Questa nuova consapevolezza farà sì che le dimensioni della casa vengano ripensate, che la stessa concezione di “casa” cambi radicalmente. “L’abitazione sarà sempre meno un’operazione speculativa e sempre più un luogo in cui vivere meglio. E lo spazio esterno sarà sempre più indispensabile. Di fronte a tutto questo, il nostro approccio alla progettazione degli spazi non potrà fare a meno di cambiare per adeguarsi alle nuove richieste”.
Il rapporto tra architettura e natura
Per i due architetti, il rapporto tra interno ed esterno si lega fortemente alla stretta relazione tra architettura e natura. Un concetto evidente in quasi tutti i progetti presentati al Corradi Outdoor Attitude Online.
Ad esempio, nella ristrutturazione di una casa in Umbria, è l’architettura stessa a muoversi verso l’esterno, spinta dalla ricerca della natura. Le forme curve della muratura si espandono in modo fluido verso “il fuori” , come a voler inseguire la luce e a volersi avvicinarsi al contesto naturale circostante. La fusione tra architettura e natura raggiunge il culmine nello spazio della piscina, dove quest’ultima sembra quasi sparire e dissolversi nel paesaggio.
“L’ecosostenibilità, per noi, sta nel rapporto tra uomo, ambiente e architettura”. Un rapporto forte anche nel progetto dell’Urban Farm di Milano, una “fattoria urbana” in cui il verde si mescola all’abitato non solo per abbellirlo ma per creare degli spazi funzionali, dei percorsi di attraversamento e collegamento con le abitazioni, dei luoghi protetti dalla strada. “Crediamo nei benefici che il ritorno alla natura può apportare all’uomo; ed è per questo che ogni famiglia possiede il suo orto personale da coltivare”.
Una sintesi perfetta della loro concezione di spazio esterno è presente nel progetto del Mall of Sport di Verona. In questo caso, la natura è progettata per divenire anch’essa architettura. “Volevamo conservare la classica percezione che l’individuo ha dello spazio verde; e, al tempo stesso, adibire lo spazio naturale alle attività umane. Da questo punto di vista, possiamo vedere come spazio interno ed esterno si sovrappongano completamente”.
Spostiamoci nell’est Europa, e precisamente nella campagna nei dintorni di Budapest. Qui, i fratelli Giammetta hanno curato il progetto di uno studio di posa cinematografica. L’obiettivo era quello di realizzare una location a 360 gradi che potesse dare infinite possibilità di mettere lo spazio al servizio delle riprese. Occorreva, quindi, un progetto flessibile, che potesse prestarsi a qualsiasi tipo di set e ricostruzione scenica; una location fotografica, che permettesse di captare e sfruttare i fondali scenografici naturali e non solo quelli architettonici; multilevel, in cui la macchina fotografica potesse stare su livelli e piani diversi, senza dover ricorrere a gru o dolly.
Un forte elemento di continuità tra interno ed esterno è rappresentato dalle tante aperture presenti nell’edificio, corrispondenti ad altrettanti punti di vista sull’esterno: “In questo modo, tutto quello che abbiamo costruito fuori è sempre presente e può fare da sfondo alle riprese al chiuso”.
Lo spazio esterno è protagonista anche nel progetto del Cibaf di Napoli, un luogo concepito per ospitare attività didattiche, creative e formative rivolte ai più piccoli.
Cardine della realizzazione del progetto è il recupero di alcuni vecchi capannoni industriali. Nel punto di unione tra gli edifici viene inserito un albero, come metafora di vita e di conoscenza: “La figura dell’albero ci tornava utile per le successive coperture a protezione degli spazi outdoor. Volevamo infatti che lo spazio esterno acquisisse particolare importanza, visto che si tratta di un progetto destinato ai bambini. Lo abbiamo pensato e gestito come un grande spazio personalizzabile e anche modificabile, per eventuali esigenze future”.
Non a caso, l’obiettivo di questi interventi, come i due fratelli hanno più volte ricordato nel corso del workshop, è dare sempre più valore allo spazio esterno: “Non ha senso che interno ed esterno vengano trattati in modo separato e differenziato. Noi crediamo che l’outdoor debba essere adibito a un utilizzo costante e sempre più frequente, non soltanto temporaneo”.
L’importanza di fare squadra
Nell’ultima parte del loro intervento, i due architetti hanno sottolineato l’importanza di fare squadra tra professionisti.
“Uno dei grandi problemi dell’architettura in Italia è senza dubbio l’individualismo. Gli architetti non riescono a fare gruppo e a unire le forze come invece succede in altri paesi. E questo sta diventando un grosso limite”. Così come all’estero si predilige una modalità di lavoro “corale” all’interno di gruppi multidisciplinari, anche in Italia è auspicabile la costruzione di sinergie e l’abbattimento del personalismo. “In questo modo, potremo essere competitivi e volgere lo sguardo anche all’estero”.
Un cambiamento che, come sostengono i due fratelli, andrebbe sostenuto a gran voce anche dall’Ordine di categoria: “Deve tornare a essere un soggetto attivo. Solo così possiamo trasformare le cose, velocizzare la burocrazia dei processi urbanistici e presenziare al dibattito con la politica”.
I Giammetta sostengono fortemente che la relazione tra mercato e professione possa trasformare l’architettura italiana in un elemento attrattivo per l’imprenditoria e il business. In questo, il dialogo con le aziende gioca un ruolo essenziale: fare sistema con chi produce significa poter dare vita a progetti e innovazioni di alto profilo.
“È un obiettivo primario. Noi architetti saremo chiamati non solo perché bravi nel nostro lavoro, ma perché saremo fortemente legati alle aziende che oggi investono nella ricerca. Solo in virtù di questo rapporto stretto potremo presentare al mercato prodotti di alto profilo”. Entusiasmo e capacità tecnica devono essere le basi da cui ripartire. Ecco perché, sostengono, l’architetto deve smettere di essere solo un poeta: “La poesia va bene, ma abbiamo bisogno anche di concretezza per seguire le orme dei nostri colleghi all’estero”.