Tra natura e architettura: il punto di vista di Paolo Portoghesi al Corradi Outdoor Attitude Online
Ospite del Corradi Outdoor Attitude Online della scorsa settimana è stato il professor Paolo Portoghesi, una vera istituzione nel mondo dell’architettura.
Come sottolineato da Giorgio Tartaro nell’introduzione al webinar, parliamo di un professionista che si è sempre distinto per un interesse particolare verso la natura e il rapporto tra questa e l’architettura.
Portoghesi è anche uno dei pochi nel suo ambito a mantenere il privilegio di essere protagonista e al tempo stesso osservatore, ma anche anticipatore di quegli stessi temi dai quali ha poi preso le distanze.
Divenuto Preside della Facoltà di Architettura di Milano alla fine degli anni ‘60, direttore di una rivista importante come Controspazio attorno alla quale hanno gravitato alcuni dei nomi più importanti del settore, con il suo ruolo di Direttore della Biennale di Venezia 1980, Portoghesi ha il merito di aver dato il via alle manifestazioni biennali dedicate al mondo della progettazione.
Cultore di un’architettura umanistica, il suo lavoro si è sempre distinto per il forte carattere inclusivo e mai esclusivo: a differenza di molti “lupi solitari” del mondo dell’architettura, Portoghesi ama da sempre circondarsi di una rete di allievi e professionisti. D’altronde, come lui stesso sostiene a proposito dell’Islam, cultura che conosce profondamente, “La diversità è la vera ricchezza del mondo. Un mondo tutto uguale non interesserebbe a nessuno”.
Come l’architetto Marco Piva, ospite del precedente Corradi Outdoor Attitude Online, anche Portoghesi sviscera il rapporto profondo che esiste tra l’architettura e la natura, concentrandosi su una delle sue realizzazioni più riuscite a tal proposito: il giardino della sua abitazione.
Geometria e memoria
La diversità è fondamentale anche in natura. Quando l’architetto tenta di imporre alla natura un ordine mentale i risultati sono affascinanti, ma imprevedibili: “Non è possibile creare forme stabili, come avviene con il cemento armato. Dalla natura, l’architetto può ottenere, infatti, delle forme che continueranno a trasformarsi e lui non potrà mai dominare questa evoluzione”. Non a caso, secondo il professore, trovarsi di fronte alla natura significa affrontare una sfida. Significa cercare invano di formare qualcosa che, tuttavia, va rispettata nella sua libertà di essere.
Un concetto che Portoghesi ha ampiamente esplorato nella progettazione del suo giardino di casa, in provincia di Viterbo: la sua realizzazione lo ha portato a sperimentare la volontà di adattarsi alla natura ma anche quella di applicare i principi della geometria. “La geometria è figlia della matematica, e questa rappresenta la vetta più alta della mente umana. Queste discipline tipicamente mentali mi appassionano da sempre: ecco perché spesso ricorro alla geometria nel mio modo di interpretare la natura”.
Nella creazione del giardino, un altro ruolo fondamentale è quello che l’architetto affida alla memoria.
“Nel mio spazio verde, ho cercato di rievocare cose che in passato mi hanno impressionato. Un primo esempio sono i mostri di Bomarzo, ai quali, però, ho voluto dare un’interpretazione sorridente”. Le maschere raffiguranti i celebri mostri del parco viterbese ospitano al loro interno un tavolo per mangiare. Al centro, vi è uno specchio d’acqua: “Si tratta della rievocazione di una tavola della villa di Plinio il Giovane: a quell’epoca, lo specchio d’acqua serviva ai commensali per scambiare i piatti facendoli galleggiare sulla superficie. Mi è sembrata un’idea affascinante e moderna da riproporre. Inoltre, il riflesso dell’acqua moltiplica l’immagine e l’architettura deve sempre contribuire a creare il senso della vita che scorre”.
Nel giardino dei ricordi c’è spazio anche per la memoria del tempio circolare. Per il professore, questo rappresenta la forma d’arrivo del tempio greco: “Ho cercato di evocare il Tempio di Apollo, pur distaccandomi rispetto all’originale. Il mio tempio ha le pareti trasparenti e proprio per questo non pretende di racchiudere lo spazio”.
Arte e natura: un doppio simbolismo
Ancora, per Portoghesi, lo spazio della natura diventa anche spazio delle arti: “La natura a volte richiede delle aggiunte. Nel mio caso, si è trattato della poesia. Ho voluto che il mio fosse anche un giardino letterario, poiché nulla è paragonabile al linguaggio nel tradurre chiaramente cosa si pensa”. Per questo motivo, in diversi punti, il professore ha collocato dei leggii davanti ai quali ci si può soffermare per leggere una poesia. “Di solito, si tratta di brani che si inseriscono nella cornice che li ospita. In questo modo, la poesia dialoga con la natura che la circonda”.
Un altro elemento che Portoghesi ha evocato nel realizzare il suo giardino è il rapporto tra l’uomo e la terra. “Un rapporto basato soprattutto sull’agricoltura. In fondo, lo dice anche la Bibbia: l’uomo deve sfruttare e allo stesso tempo coltivare. L’atto del coltivare esprime amore per la terra”. Nel giardino di Portoghesi, il simbolo per eccellenza di questo forte legame è rappresentato da un olivo antichissimo.
Alla forza comunicativa del simbolo Portoghesi ricorre spesso. Lo fa, ad esempio, nella realizzazione del percorso in salita, creato mediante più dislivelli ed evocativo della vita dell’uomo. “Ho cercato di riportare il percorso della conoscenza: è una strada in salita, che prevede tanti momenti di difficoltà, in cui l’uomo cambia e cresce continuamente grazie alle esperienze che affronta”.
Secondo il professore, esistono due tipi di simbolismo. Il primo, intuitivo, che non richiede alcuna spiegazione né il ricorso a sovrastrutture intellettuali. Il secondo, ben più interessante, possiede tanta attualità e permette all’architettura di raccontare e trasmettere. “Senza simbolismo, l’architettura rimarrebbe muta perchè non svelerebbe nient’altro che se stessa. Ed è questa architettura autoreferenziale che io combatto. È bello, invece, quando l’opera sa esprimere i sentimenti ricorrendo a strumenti fondamentali come la luce e la materia”.
Un altro simbolo è presente sulla porta d’ingresso della Biblioteca dell’Angelo, sempre collocata nell’area del giardino. La facciata modulata richiama infatti il libro antico, la pagina aperta. Al centro, un tempietto, in onore al progetto di Giuseppe Terragni per la Triennale di Milano.
La scala posta davanti all’ingresso della biblioteca, invece, rievoca il progetto di Bramante a conclusione del cortile del belvedere nel Vaticano; la scala finale riprende i disegni di Michelangelo per la Biblioteca Laurenziana. Il tutto viene però reso attraverso un ricordo fortemente modificato: “La memoria trasforma”.
In cima alla scala, ecco l’olivo centenario che si avvita intorno a se stesso, come fosse la spirale della sapienza. “Ho sempre avuto una passione per il mondo degli alberi. Trovo che l’architettura debba molto alla concezione dell’albero. L’albero succhia la terra ma, allo stesso tempo, prende il nutrimento dal cielo”. Un doppio richiamo che simboleggia la natura umana, sospesa tra cielo e terra.
L’architettura naturale e il rapporto con le forme vegetali
A chi chiede come sia possibile correlare la vegetazione di uno spazio aperto con un contesto antropizzato, Portoghesi risponde sostenendo la necessità di un’architettura assolutamente naturale, come quella che caratterizza alcuni punti fondamentali del giardino. “Nel tempio, ad esempio, le forme geometriche sono suggerite dai blocchetti di tufo allineati. Ma, appunto, sono solo suggerite: l’architettura viene solo evocata, senza però diventare ingombrante”. Tuttavia, per il professore, “Occorre scegliere la materia che meglio risponde a una determinata esigenza. I lampioni del giardino, ad esempio, sono in acciaio inossidabile. Avremmo potuto farli anche in legno, ma l’acciaio è in grado di sfruttare in modo naturale i riflessi luminosi durante il giorno. Si tratta quindi di un materiale che si sposa benissimo con la vegetazione”.
Qual è la linea sottile che è meglio non attraversare per non rischiare di deturpare la natura ma procede parallelamente e in armonia con il suo sviluppo? A questa domanda Portoghesi risponde senza alcuna incertezza, ricordando come l’amore sia la chiave di tutto. “Se non c’è amore per la natura non si può trovare neanche il freno per non eccedere. Confesso che anche io, a volte, ho esagerato nel voler imporre alla natura una forma. Credo, però, che lei ne sia grata perché le consentiamo di crescere attraverso il cervello umano, che della natura è il capolavoro per eccellenza. Riuscire a introiettare la natura dentro di noi e fare in modo che ci ascolti è importante”.
Per non rischiare di varcare quel confine, bisogna quindi impugnare il senso del rispetto. Ma, ricorda il professore, non occorre nemmeno usare troppa timidezza: in realtà, abbiamo bisogno sia della natura selvaggia che di quella antropizzata, poiché entrambe ci insegnano qualcosa.
Una riflessione sulle città
In ultimo, una riflessione sul futuro delle città.
Riflessione che trae spunto dal progetto per un quartiere di Bari in cui si denota la totale assenza delle automobili. “Vige il dominio assoluto delle esigenze. La struttura presenta una forma che si ispira alle nuvole che, con il loro movimento, sono una fonte inesauribile di vivacità creativa. I vari piani sono destinati a diversi utilizzi. All’ultimo ci sono, ad esempio, le piscine, che rappresentano un elemento di avvicinamento alla natura”.
Nel progetto, piazza e strada convivono. Le automobili sono visibili solo attraverso le aperture sui piani inferiori: “In fondo le amiamo, fanno parte dei nostri tessuti urbani”.
L’idea di un futuro caratterizzato da un progressivo svuotamento delle città a favore di periferie e borghi dimenticati, specie alla luce di quanto avvenuto negli ultimi mesi, sembra non convincere Portoghesi: “Semmai dobbiamo smettere di rubare terreno all’agricoltura. Ogni anno ne perdiamo quantità davvero sostanziali. E se vogliamo evitare che l’esperienza tragica che abbiamo vissuto si riproponga ancora in futuro dobbiamo imparare a essere coscienti e a trarre da tutto questo un insegnamento positivo”.
Il futuro delle città, per il professore, è in mano ai giovani: “Continuo a insegnare perché sento il bisogno di indicare loro alcune cose che è importante non dimentichino. Vorrei che diventassero almeno in parte medici condotti della città. La città va infatti curata perché è malata di tante cose: in primis, della nostra incapacità di realizzare luoghi urbani che esprimano realmente le qualità del nostro tempo”. Per Portoghesi, infatti, un’epoca come il Medioevo è riuscita a concepire città come Siena in cui tutti vorrebbero abitare. Un luogo decisamente migliore del mondo che l’ha creato. Noi, invece, che rispetto al passato siamo migliorati da diversi punti di vista e che a confronto di un’epoca come il Medioevo abbiamo guadagnato notevoli spazi di giustizia, lasciamo in eredità delle città molto peggiori di noi. “Questo ci conduce alla riflessione secondo cui, oggi, i cittadini influiscono pochissimo sullo sviluppo della città. Sono i politici e gli architetti a decidere e i cittadini sono al loro servizio”.
Occorre, insiste Portoghesi, una legge sull’architettura che porti la progettualità più sotto il controllo degli architetti e meno degli amministratori. “Ma non perché voglia che l’architetto diventi un demiurgo. Lo spazio dell’architetto ha senso, infatti, solo se è spazio per la collettività. L’architetto deve accettare di diventare il medico condotto della città. Oggi è il medico a cui si rivolgono solo i potenti, quelli con grandi disponibilità. Una legge ad hoc garantirebbe invece la sua presenza organizzatrice dove necessaria. E gioverebbe soprattutto ai quartieri: i miei allievi studiano le periferie approcciando le persone, interrogandole e giungendo, così, a soluzioni interessanti. La correzione dei difetti della città passa dall’umiltà”.